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Channel: Architettura Ecosostenibile: bioarchitettura, design e sostenibilità
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Tree Church: la chiesa vegetale è fatta di piante

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Avete mai pensato ad un edificio fatto totalmente da piante? Esiste, non è una semplice capanna rudimentale, e si trova in Nuova Zelanda, una nazione in cui  la sensibilità green è sempre stata molto diffusa e radicata nella coscienza della popolazione. L'inusuale edificio in questione è una chiesa fatta di alberi e piante rampicanti, si trova a Ohaupo, al centro di un parco, ed è stata ribattezzata non a caso Tree Church.

OPERE VERDI: IL TUNNEL VEGETALE PER INNAMORATI

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La Tree Church, la chiesa vegetale, è interamente costituita da vegetazione che si sviluppa intorno ad una struttura in metallo, progettata a mo' di guida per rami e foglie. Questi si estendono e sviluppano secondo le superfici predefinite assumendo l'aspetto e la funzione di muri, copertura e passaggi.

Sono serviti ben quattro anni perché le piante crescessero e la coprissero completamente! La eco chiesa, la cui realizzazione é stata finanziata dall’imprenditore locale Barry Cox, è subito diventata meta di pellegrinaggio per fedeli e curiosi provenienti da tutti i paesi del Mondo, tanto che alcuni l’hanno già ribattezzata come la Lourdes dell’eco-sostenibilità. Forse un confronto po’ azzardato ma comunque molto suggestivo. Può ospitare fino a 100 fedeli ed è stata pensata da Cox durante i suoi numerosi viaggi in cui diverse sono state le chiese da lui visitate.  Il parco, che può essere visitato o affittato per cerimonie ed eventi, comprende anche un labirinto, splendidi giardini e una tensostruttura.

Per noi amanti dell'architettura green rappresenta invece un riuscito esempio di come sia possibile costruire edifici rispettando l’ambiente circostante e privilegiando "materiali" naturali. Al momento la chiesa vegetale resta un esempio unico al mondo, ma visto il successo che sta riscuotendo ci auguriamo che molto presto "edifici" simili vengano realizzati in tutto il mondo!


La casa in legno nascosta nella foresta

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All’interno di una foresta, nelle vicinanze del torrente Ri d’Alyse che segna il confine tra Francia e Belgio, si trova, nascosta fra gli alberi, una piccola casa per le vacanze. È una costruzione ecologica, progettata dall’architetto Pierre Deru, dello studio di architettura AADD.

CASE nella foresta PER VIVERE IN STILE SCANDINAVO

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La volontà di allontanarsi dalla vita frenetica della città e rilassarsi a contatto con la natura, ha spinto una famiglia a comprare un terreno nella foresta di Viroinval e uno chalet. Quest’ultimo, tuttavia, in pessime condizioni, è stato ricostruito dall’architetto Pierre Deru che, con un budget modesto, ha dato vita ad una casa in legno dall'organismo che dialoga con l’ambiente circostante.

Pierre Deru ha progettato delle forme organiche, dinamiche, curve, che entrano in armonia con gli elementi naturali, utilizzando delle tecniche costruttive rispettose dell’ambiente, nessun impatto negativo sulla foresta.

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La copertura ha una forma ogivale, aggettante per proteggere la facciata vetrata; all’interno presenta un motivo a losanghe o a “nido d’ape”, che si ispira alle famose opere di Philibert Delorme. L’intradosso, oltre ad avere una funzione strutturale, rappresenta una decorazione costante in tutti gli ambienti. Offre, altresì, la possibilità di personalizzare gli spazi, attraverso piccole mensole incastrate, dando vita a piccole librerie e porta oggetti.

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All’interno, in continuità con l’ambiente esterno, è presente una scultura dallo stile africano; si tratta di un tronco d’albero scolpito che funge da scala. Un elemento particolare che attira molto l’attenzione dei bambini.

La casa è interamente in legno, con la facciata rivolta a sud completamente vetrata. I materiali sono tutti ecologici: legname certificato FSC, sughero, argilla, cellulosa e lana di legno. Quasi nulle le emissioni di CO2; una stufa a legna per il riscaldamento e la cottura dei cibi; in facciata due pannelli solari integrati a due boiler, riscaldano l’acqua sanitaria, e la depurazione è praticata mediante lagunaggio e compostaggio.

Olanda: la chiesa in legno riciclato

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Nei Paesi Bassi, nella cittadina olandese di Elspeet è stata recentemente costruita la prima chiesa interamente realizzata in legno riciclato secondo la tradizione mennonita. 

CHIESA IN LEGNO:QUELLE DI CHILOÉ SONO PATRIMONIO UNESCO

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In linea con i principi mennoniti, infatti, il design dell’edificio ed i suoi ornamenti ed arredi interni sono volutamente semplici, poveri ed essenziali, così  come vuole la filosofia mennonita che vede nella povertà degli ambienti la dimensione ideale per entrare in contatto con Dio e concentrarsi solo sulla preghiera e lo stare insieme agli altri fedeli.

Gli ideatori del progetto, nonché i responsabili durante la fase esecutiva, sono stati i tecnici dello studio FARO. La eco-chiesa di Elspeet è un esempio di architettura pulita ed elegante, quasi essenziale, che vuole mimetizzarsi nel paesaggio circostante cercando di ridurre al minimo gli impatti ambientali. L'edificio infatti, salvo piccole finiture, è realizzato totalmente in legno naturale. L'interno è stato rifinito con pavimenti riciclati da materiali derivanti da un antico convento: provenienti da foreste che vengono rimboschite periodicamente, mentre la facciata anteriore è in rovere. Il materiale isolante utilizzato per coibentare le pareti dell’edificio è il lino.

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Il riscaldamento è garantito grazie ad un sistema ad accumulo termico.

La chiesa di Elspeet ormai è meta non solo di fedeli ma anche di curiosi tanto da restare aperta 24 ore al giorno ed è adibita non solo a funzioni religiose ma anche ad eventi di altro tenore. Insomma un luogo ideale in cui pregare, e non solo, secondo natura!

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Free electric: la cyclette per l'autosufficienza energetica

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Si chiama “Free Electric” la nuova cyclette che permetterà di produrre l’energia necessaria a coprire i consumi medi giornalieri di un’abitazione pedalando per un’ora. L’energia cinetica prodotta con il movimento corporeo della pedalata aziona una turbina che genera elettricità e la immagazzina in una batteria. Così una sana e regolare attività fisica potrà garantire l’autosufficienza energetica anche a chi a stento ha accesso all’energia elettrica.

LA LAVASTOVIGLIE A MANOVELLA CHE LAVA IN 1 MINUTO

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Già a partire dal prossimo anno l’imprenditore indiano Manoj Bhargava sperimenterà il suo modello innovativo distribuendo 10 mila prototipi tra i cittadini indiani più bisognosi. Le prime 50 cyclette verranno prodotte in India e distribuite in una ventina di villaggi dello stato di Uttarakhand, nel Nord del Paese, dove l’assenza di infrastrutture per la distribuzione dell’elettricità ne rende l’accesso da sempre difficile e costoso. In tal modo l’illuminazione e l’uso degli elettrodomestici sarà possibile anche nei villaggi remoti al confine con il Nepal. Secondo le previsioni del milionario, terminata la fase della sperimentazione, la bici potrebbe essere prodotta su scala mondiale e venduta a soli 100 dollari in tutto il mondo.

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L’imprenditore sessantenne Bhargava, attualmente residente in Michigan, ha frequentato per un anno la Princeton University prima di abbandonare gli studi e proseguire le sue ricerche con un team di ingegneri con cui studia progetti ambiziosi nel campo delle nuove tecnologie: non solo produzione di energia pulita con la “Free Electric” ma anche il “Rain Maker”, uno strumento che renderebbe potabile l’acqua inquinata e il “Renew”, un dispositivo medico che migliorerebbe la circolazione del sangue. Nel suo documentario “Billions in change” spiega che mettere le proprie ricchezze a disposizione dei più poveri è un imperativo morale a cui non possiamo più sottrarci, con una popolazione mondiale di 7 miliardi di persone che sta consumando progressivamente le risorse del pianeta. “Chi ha di più deve aiutare le persone che hanno avuto meno, e deve agire ora”! 

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Come realizzare un biolago: una piscina fitodepurata e balneabile

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Esistono piscine che non hanno bisogno di cloro per depurarsi, ma di piante. Il cui fondale non è di un finto azzurro splendente e in cui, appoggiandosi ai bordi, non si incorre nel duro e freddo cemento. Sono le piscine bio, quelle fitodepurate, in grado di mantenere pulita l’acqua senza l’utilizzo di sostanze chimiche. Accade grazie al filtraggio biologico affidato a delle specifiche piante acquatiche (macrofite) che riescono a rimuovere la materia organica presente nell’acqua e sfruttarla per la propria crescita. Nell’articolo capiremo quali sono gli elementi che servono per realizzare un biolago e come costruirne uno.

COMPONENTI E FUNZIONAMENTO DI UNA PISCINA BIO

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Come quella inaugurata nell’estate del 2015 a Londra, nei pressi della stazione di Kings Cross, le piscine fitodepurate, chiamate anche biolaghi, possono essere utilizzate tutto l’anno e non sono soggette alle operazioni di manutenzioni tipiche delle piscine tradizionali (svuotamento o copertura nella stagione invernale) ma, accoppiata all’azione filtrante delle acque, richiedono una pulizia manuale per evitare l’eccessiva formazione di alghe.

ELEMENTI NECESSARI PER REALIZZARE UNA PISCINA FITODEPURATA

Per sapere come realizzare un biolago, o piscina fitodepurata, ci siamo affidati agli esperti di Rifare Casa, che ci hanno indicato i passi fondamentali da seguire e gli elementi che non possono mancare quando si sceglie di optare per un elemento più naturale anziché una piscina tradizionale.

Individuazione del luogo  e scavo

È importante scegliere accuratamente il luogo dove iniziare lo scavo. Questo deve essere quanto più possibile (almeno 8 metri) lontano da alberi e corpi fissi ombreggianti in modo da evitare sia che le foglie cadute si depositino sulla superficie del biolago, sia perché l’ombra rallenta e talvolta impedisce la crescita delle piante acquatiche a cui è affidato l’importante compito di depurare le acque del biolago.

Una volta individuato il luogo in cui realizzare la piscina fitodepurata, si può procedere con lo scavo. Non esistono forme da preferire ma suggeriamo che la biopiscina abbia una forma organica, morbida: una forma squadrata e spigolosa si adatta meno bene ad essere integrata nell’ambiente e non appare naturale. In ogni caso si consiglia che lo scavo abbia una profondità compresa tra uno e due metri e si estenda idealmente su una superficie di 100 mq.

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Le aree del biolago

Le piscine fitodepurate sono divise sempre in due sezioni: una dedicata alla balneazione entrambe coperte da un telo impermeabile che può essere nascosto sotto ghiaia o ciottoli.

  • L’area dedicata alla balneazione:  Qui le piante acquatiche non sono presenti affatto. In questa zona si completa l’ossigenazione dell’acqua.
  • L’area dedicata alle piante fitodepuranti:  l’area della fitodepurazione deve estendersi per una superficie pari a circa il 30% di quella della piscina e deve essere collocata preferibile più in alto dell’area per la balneazione. In questo modo l’acqua, scorrendo dalla zona della fitodepurazione verso la piscina, genera delle piccole cascate, che favoriscono l’ossigenazione dell’acqua.

È importante che, al confine con la zona balneabile, siano presenti anche delle aree spondali periferiche meno profonde che contribuiscano alla rigenerazione dell’acqua.

Completa l’impianto anche una pompa di ricircolo, indispensabile per il ricircolo dell’acqua all’interno di un circuito chiuso, eventuali sistemi per raccogliere le foglie in superficie ed altri accessori a seconda della preferenza dell’utilizzatore.

Lo spazio incompiuto diventa ufficio green: nuove frontiere del riuso

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Lo Studio 120, collettivo di architetti vietnamiti, ha trasformato una casa mai completata, in un quartiere della città a sud-ovest di Hanoi, in uno spazio di vita e di lavoro. Su richiesta della società di consulenza e design Mein Garten, i progettisti hanno riprogettato l’edificio ponendo l’attenzione sull’efficienza energetica e sul riuso di materiali di recupero, in modo da ridurre sensibilmente i costi della ristrutturazione.

La committenza è una società che si occupa di paesaggio e di orticoltura: per questo l’edificio  aveva l’obiettivo di diventare il manifesto di una filosofia aziendale, dando spazio alla natura.

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Il progetto colpisce per l’abilità con cui sono stati creati spazi ibridi tra interno ed esterno e per aver riportato il verde in un quartiere densamente costruito.

L’ufficio mira a introdurre il concetto di riuso in ambito urbano, aprendo nuove prospettive all’incompiuto. Molte zone della città sono il prodotto dalla rapida espansione urbana che la crisi immobiliare e finanziaria ha tramutato in quartieri “fantasma”; qui come in altre parti del mondo, una pianificazione urbanistica erosiva e sregolata ha causato problemi sociali in termini di sicurezza e vivibilità. Invece di costruire ancora, ora si decide di riutilizzare le strutture grezze abbandonate, rivitalizzando zone che rischierebbero di essere dimenticate. Oltre ad essere un ufficio di rappresentanza, fornito di attrezzature e spazi adeguati, l’edificio ospita anche uno spazio per la progettazione e il lavoro creativo.

Parti delle pareti del vecchio manufatto sono state abbattute per evitare filtri tra interno ed esterno, costituendo percorsi che assomigliano a quelli di un giardino: acqua, terrazze, verande e camminamenti. Non sono stati trascurati nemmeno gli spazi per il relax, dove i dipendenti possano “ricaricare le batterie” per essere poi più attivi in ambito lavorativo.

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Lo studio 120 ha pensato questo ambiente non solo come luogo di lavoro, ma come vero e proprio luogo di vita, dove la natura aiuta gli abitanti ad avere un comfort maggiore, gli spazi stimolino continuamente l’interazione tra le persone, e tra i lavoratori sia incentivata la produttività e allontanata la noia.

I progettisti hanno scelto pannelli di legno in facciata, a mo' di corazza, per ridurre l’impatto della pioggia sulle pareti bianche intonacate e su cui far crescere piante rampicanti. Il verde diventa un elemento della costruzione, come il legno e il mattone, permettendo una metamorfosi continua dell’edificio che ogni giorno assume diversi connotati. Il resto dei materiali usati, tentando di favorire più possibile la ventilazione naturale e l’ingresso di luce solare, sono stati scelti di riuso per ridurre, oltre ai costi di realizzo, anche gli sprechi nel corso della vita dell’edificio.

Quanti edifici abbandonati ci sono nelle nostre città? È pensabile dare loro una seconda possibilità?

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Il mattone che filtra l'inquinamento

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Quando pensiamo all’inquinamento, inconsciamente la mente proietta tutto all’esterno, alle strade trafficate, alle piazze, quasi a volersi difendere, credendo che le pareti delle nostre abitazioni, degli uffici o delle scuole, possano proteggerci dagli agenti inquinanti. Pensare che l’aria interna sia priva di contaminazioni è un grave errore, per questo una ricercatrice ha ideato un mattone capace di filtrare l'inquinamento e proteggerci passivamente tra le pareti domestiche.

RISCHI PER LA SALUTE TRA LE MURA DI CASA

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Passiamo la maggior parte della nostra vita in ambienti chiusi, dove l’aria interna che respiriamo può essere più inquinata di quella esterna. Come è possibile? Gli elementi che formano gli edifici, come le pareti, i pavimenti e l’arredo assorbono e intrappolano in misura maggiore gli stessi agenti inquinanti presenti all’esterno. Questi ultimi si manifestano sotto forma di gas, goccioline, particelle (benzene, monossido di carbonio, ossido d’azoto, ozono, metalli pesanti ecc.), modificando la composizione naturale dell’aria e alterandone qualità e salubrità.

A questo inquinamento esterno (o outdoor) si aggiunge poi quello domestico (o inquinamento indoor), che risulta tra i principali fattori di rischio di malattie cardiovascolari e respiratorie. L’inquinamento domestico è frutto, quindi, della somma tra le sostanze nocive provenienti dall’esterno e quelle derivanti da: processi di combustione (stufe, fornelli); prodotti chimici per la pulizia e la manutenzione della casa (solventi, vernici); batteri che si annidano nei tessuti; fumo di sigaretta; apparecchi elettrici (computer, stampanti); e tanto altro ancora.

Il mattone che filtra le particelle nocive

Carmen Trudell, assistente professore di architettura al Cal Poly, California Polytechnic State University, Contea di San Luis Obispo, da anni conduce ricerche sulla qualità dell’aria nelle città. Pensando a suo fratello affetto da insufficienza renale, la Trudell ha una intuizione: cosa succederebbe se un edificio, come un organo, fosse in grado di filtrare le sostanze nocive e difendere le persone dall'inquinamento? mattone-innovazione-breathebrick-b

In collaborazione con gli studenti e il professore associato di Ingegneria ambientale Tracy Thacher, la ricercatrice giunge all’ideazione di un componente edilizio in grado di rappresentare un sistema passivo di filtrazione e funzionare senza energia elettrica, per consentirne l’uso nei Paesi in via di sviluppo.

Ispirato al funzionamento di un aspirapolvere, il Breathe Brick è, appunto, un mattone che aspira le particelle nocive dell’aria esterna.

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La forma e le prestazioni del mattone purificatore

Si tratta di un mattone in calcestruzzo poroso, dalla superficie sfaccettata, per indirizzare il flusso dell’aria nel sistema di ventilazione, con una cavità all’interno, per l’inserimento della struttura in acciaio.

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La parete di un edificio composta da questi mattoni speciali è formata da uno strato interno, realizzato secondo tecniche tradizionali o innovative, che fornisce l’isolamento standard, e da un doppio strato di breathe bricks, che crea una innovativa parete ventilata.

La presenza di accoppiatori di plastica riciclata, permette sia di apparecchiare correttamente i mattoni che di alloggiare la struttura di rinforzo. Al centro della doppia parete, si crea un circolo di filtrazione che separa le particelle inquinanti pesanti dell’aria, raccogliendole in una tramoggia rimovibile posta alla base del muro, da pulire regolarmente.

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L'aria così filtrata potrebbe alimentare un sistema HVAC o garantire solamente aria più pulita attraverso prese d’aria, nel caso in cui gli edifici siano sprovvisti di sistemi riscaldamento, ventilazione o condizionamento. Infatti, il breathe brick può funzionare sia con sistemi di ventilazione meccanica che passiva.

I test effettuati in galleria del vento, hanno dimostrato che, attraverso questi mattoni, è possibile filtrare il 30% di polveri sottili (come fumo o inquinanti atmosferici) e il 100% di particelle grossolane (come la polvere).

Come redigere l'APE dopo l'entrata in vigore dei decreti attuativi della L. 90/2013

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Il primo ottobre del 2015 sono entrati in vigore i tre attesissimi decreti attuativi della L. 90/2013 e, se consideriamo che circa la metà del patrimonio immobiliare è stato realizzato prima della L. 373 del 1976, si prospetta una sfida ambiziosissima riqualificare imponendo prestazioni ad energia quasi zero, entro il 31 dicembre 2018 gli edifici pubblici, o privati ad uso pubblico, e dal 1 gennaio 2021 tutti gli edifici di nuova costruzione. Riassumiamo le principali novità introdotte nel calcolo della prestazione energetica degli edifici (APE) e nella relazione tecnica “Legge 10”.

INCENTIVI E DETRAZIONI PER INTERVENTI DI RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA

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IL QUADRO NORMATIVO

Ricordiamo che il D.L. 63 del 4 giugno del 2013, convertito in legge dalla L. 90/2013 e dal D.M. 26 giugno 2015 “Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche, definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici” (Supplemento ordinario della G.U. n. 162 del 15 luglio 2015), recepisce la direttiva 2010/31/UE “Energy Performance of Buildings Directive” (EPBD).

I DECRETI ATTUATIVI DELLA L. 90/2013      

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  • Il primo decreto introduce le prescrizioni minime, le modalità di verifica per edifici di nuova costruzione, ed esistenti, in funzione dell’ambito d’intervento, i requisiti dell’edificio ad energia quasi zero e sostituisce il DPR 59/09.
  • Il secondo decreto definisce i nuovi modelli per la relazione tecnica (Legge 10) in funzione della tipologia d’intervento.
  • Il terzo ed ultimo decreto integra e modifica le prime Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica (LGN09) proponendo un nuovo indicatore per la classificazione e due nuovi modelli di attestato (APE e AQE).

LA NUOVA RELAZIONE TECNICA PER L'APE

Come redigere la nuova relazione tecnica per l'APE? Dopo l'entrata in vigore dei decreti attuativi della L. 90/2013 i modelli per la redazione della relazione tecnica “Legge 10”, da presentare in Comune per le autorizzazioni, sono tre e si differenziano in base ai seguenti ambiti d’intervento:

  1. nuove costruzioni, ristrutturazioni importanti di primo livello, edifici ad energia quasi zero (Allegato 1);
  2. riqualificazione energetica e ristrutturazioni importanti di secondo livello. Costruzioni esistenti con riqualificazione dell’involucro edilizio e di impianti termici (Allegato 2);
  3. riqualificazione degli impianti tecnici (Allegato 3).

Gli addetti ai lavori hanno già osservato che la data, a partire dalla quale entrano in vigore le nuove disposizioni, non è il 1° settembre 2015, come sancito nella legge, ma ragionevolmente dal 1° ottobre 2015; ritengono dunque che si sia tratto di un errore di battitura. L’ennesima prova di un lavoro condotto frettolosamente nel tentativo, penoso, di evitare il prossimo aggravamento delle procedure d’infrazione nei confronti del nostro Paese da parte della Commissione europea. Si tratta del solito pasticcio all’italiana.

Le nuove disposizioni della L. 90/13 si applicano alle Regioni e alle Provincie autonome che non hanno ancora recepito la direttiva 2010/31/UE; mentre le altre hanno due anni di tempo per uniformarsi ai nuovi provvedimenti nazionali. Ad ogni modo, alla data del 1° ottobre, continuano ad essere in vigore i seguenti decreti legislativi: 192/05, 311/06 e 28/11. Le Linee Guida del 2009 non vengono abrogate ma solo aggiornate ed integrate con le LGN15.

I NUOVI CRITERI DI CALCOLO DI APE E AQE

Fermo restando gli obblighi già previsti per la presentazione dei documenti APE (Attestato di Prestazione) e AQE (Attestato di Qualificazione Energetica), con le nuove Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica (LGN15) sono stati introdotti nuovi schemi per la redazione di entrambi.

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L’APE verrà calcolata, d’ora in poi, in base ad un “edificio di riferimento”, ovvero uno identico a quello in esame in termini di:

  • geometria (sagoma, volumi, superficie calpestabile, superfici degli elementi costruttivi e dei componenti);
  • orientamento;
  • ubicazione territoriale;
  • destinazione d’uso;
  • situazione al contorno;
  • caratteristiche termiche e parametri energetici predeterminati (ai sensi dell’Appendice A dell’Allegato 1 del DM 26/6/15) come segue:

In altri termini, i seguenti valori dell’“edificio di riferimento” rappresentano i nuovi limiti per le verifiche delle prestazioni energetiche dell’edificio reale:

  • EPH,nd, l’indice di prestazione termica utile per il riscaldamento;
  • EPC,nd, l’indice di prestazione termica utile per il raffrescamento;
  • EPgl,tot, l’indice di prestazione energetica globale dell’edificio.

Secondo i decretivi attuativi della L.90/2013, per la redazione dell'APE e dell'AQE il nuovo sistema di verifica degli interventi non si basa più sugli indici di prestazione predefiniti, ma sui valori determinati in funzione delle caratteristiche dell'edificio di progetto. Mentre per i tutti gli input e i parametri indefiniti si utilizzano i valori dell’edificio reale.

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Da ora, i metodi di calcolo semplificati sono ammessi solo per gli edifici, o unità immobiliari residenziali esistenti, con superficie utile inferiore, o uguale, a 200 metri quadrati, fatta eccezione peri i casi di ristrutturazione importante.

Sono introdotte nuove verifiche sulla riflettenza solare delle coperture e sull'area solare equivalente estiva, per limitare i fabbisogni energetici per la climatizzazione estiva e contenere il surriscaldamento a scala urbana.

In caso di nuova costruzione, il progettista deve evidenziare i risultati della valutazione della fattibilità tecnica, ambientale ed economica per l'utilizzo di sistemi alternativi ad alta efficienza tra i quali, i sistemi a fornitura di energia rinnovabile, cogenerazione, teleriscaldamento e teleraffrescamento, pompe di calore.

Le LGN15 definiscono gli impianti standard dell’edificio di riferimento (tabella 1): oltre alla climatizzazione invernale e all’ACS dovranno essere considerati anche la climatizzazione estiva, la ventilazione meccanica, gli apparecchi elettrici per l’illuminazione e il trasporto di cose e persone in termini di consumi energetici.

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IL CONTRIBUTO DELLE FER E DEGLI IMPIANTI STANDARD

Il fabbisogno energetico annuale viene calcolato come energia primaria per il singolo servizio energetico su base mensile e si opera la compensazione mensile tra i fabbisogni energetici e l'energia rinnovabile prodotta on site, per vettore energetico e fino a copertura totale del corrispondente vettore energetico consumato. Lo stesso metodo si usa per l’energia da fonti rinnovabili (FER), prodotta all’interno del confine di sistema edificio-impianto. È consentito tenere conto dell’energia da FER, o da cogenerazione, prodotta in situ solo per contribuire ai fabbisogni del medesimo vettore energetico.

ESCLUSIONI E VERIFICHE

Con l'entrata in vigore dei decreti attuativi della L.90/13 sono esclusi dall’applicazione delle nuove prescrizioni, oltre agli edifici citati nell’Art. 3 del DLgs 192/05,  anche quelli ricadenti nell'ambito della disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio (Parte seconda, articolo 136, comma 1, lettere b) e c) ma solo nel caso in cui il rispetto delle stesse implichi un'alterazione sostanziale del loro carattere, o aspetto, con particolare riferimento ai profili storici, artistici e paesaggistici. Tuttavia, sono fatte salve le disposizioni concernenti: a) l'attestazione della prestazione energetica degli edifici; b) l'esercizio, la manutenzione e le ispezioni degli impianti tecnici. I ruderi sono esclusi purché tale stato venga dichiarato nell’atto notarile. Rimangono esclusi anche i fabbricati in costruzione per i quali non si disponga dell’abitabilità, o agibilità, al momento della compravendita (scheletri strutturali o immobili al rustico).

Inoltre, in base all’allegato 1, ai sensi dell’Art. 1.4.3, i seguenti interventi sono esclusi dall’applicazione dei nuovi requisiti minimi:

  • su strati di finitura ininfluenti dal punto di vista termico;
  • di rifacimento di porzioni d’intonaco su superfici inferiori al 10% di quella disperdente (lorda degli elementi opachi e trasparenti che delimitano il volume a temperatura controllata dall’ambiente esterno e da ambienti non climatizzati, quali le pareti verticali, i solai contro terra e su spazi aperti, i tetti e le coperture).

Infine, secondo l’Art. 2.2, comma 2 del medesimo allegato:

  • nel caso di sostituzione dei generatori di calore, di potenza nominale del focolare inferiore alla soglia dei 50 kW (Art. 5, comma 2, lettera g) del regolamento di cui al DM del 22 gennaio 2008, n. 37) gli adempimenti legati alla predisposizione, e consegna della relazione tecnica come sopra, sussistono solo nel caso di un eventuale cambio di combustibile o tipologia dello stesso (ad es. la sostituzione di una caldaia a metano con una alimentata a biomasse solide);
  • fino a copertura totale del corrispondente fabbisogno energetico.

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In linea generale, per le nuove verifiche, in accordo con le regole nazionali, consigliamo la seguente procedura basata su 3 semplici passaggi:

  1. Determinare il “Tipo d’intervento” e la “Classificazione dell’edificio” (DPR 412/93);
  2. Ricavare l’elenco completo delle prescrizioni da rispettare, vedasi lo “Schema delle verifiche”;
  3. Adottare le prescrizioni consultando l’“Elenco delle verifiche”.

Concludendo, segnaliamo che ogni tre anni, a partire dal 31 dicembre del 2012, la Commissione europea pubblica una relazione riguardo ai progressi realizzati dagli Stati membri con il fine di mettere a punto una politica efficace d’incentivi per rendere gli edifici a consumo nullo, o almeno a bassissimo consumo soddisfatto in gran parte da energie rinnovabili.


Architettura swahili: la casa nella foresta che non abbatte gli alberi

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In un’ottica fortemente rispettosa della natura nasce il progetto Red Pepper House, una casa immersa nella foresta realizzata dallo studio di architettura spagnolo URKO Sanchez Architects. È un esempio di architettura organica, che dialoga con la storia, la tradizionale architettura swahili e la natura dell’isola di Lamu, in Africa orientale.

In copertina: foto © Alberto Heras

La CASA per vacanze NASCOSTa NDELLA FORESTA

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L’architetto ha il compito di costruire una residenza privata (trasformata poi in hotel di lusso), ma è obbligato a rispettare delle richieste specifiche, dettate dal committente. Lo studio del sito, la necessità di soddisfare le richieste del cliente e il rispetto per l’ambiente, danno vita ad un progetto originale, un giusto mix tra tradizione architettonica swahili e modernità.

Il cliente, Fernando Torres, appassionato di architettura e grande amante della natura, desidera una proprietà che deve:

  • avere una dépendance privata;

  • essere su un unico livello;

  • avere spazi privati e zone più ampie di condivisione;

  • avere un impatto minimo sull’ambiente;

  • essere realizzato secondo tecniche e materiali locali.

La forma unica del progetto, deriva dalla volontà di salvaguardare la vegetazione presente e, quindi, di costruire solo nelle zone non occupate dagli alberi. Questa decisione ha permesso di avere un’alternanza di spazi aperti e chiusi, soleggiati e ombreggiati, tenuti uniti da una copertura continua.

Il progetto si sviluppa in lunghezza su un'area totale di 1500 metri quadri.

caption: © URKO Sanchez Architects

caption: © Alberto Heras

caption: © URKO Sanchez Architectscaption: © URKO Sanchez Architects

Le tecniche e i materiali locali

Il senso dello spazio, le tecniche costruttive e i materiali appartengono alla cultura swahili. La copertura è realizzata mediante l’utilizzo di un telaio in pali di legno di mangrovie, con sovrastante manto in makuti. Queste tipiche “tegole” keniote sono realizzate con foglie di palma di cocco intrecciate e legate tra di loro. Questo tetto tradizionale è utilizzato sia per coprire gli ambienti chiusi che la zona giorno, un enorme patio che ruota attorno a una grande seduta circolare in pietra, luogo progettato come spazio di condivisione e interazione.

Gli unici ambienti chiusi della casa sono le camere da letto, realizzate in pietra corallina e di forma cubica, sul modello delle case sparse presenti sulla costa di Lamu.

 caption: © URKO Sanchez Architects

 caption: © URKO Sanchez Architects

caption: © URKO Sanchez Architects

Accorgimenti ecofriendly 

 Al fine di garantire basse emissioni di carbonio e dato il clima soleggiato dell’isola, il progetto prevede due diversi dispositivi di raccolta di energia solare. Lo scaldacqua solare capta l’energia prodotta dai raggi del sole e la sfrutta per riscaldare l’acqua calda sanitaria, durante tutto il giorno. Le cellule fotovoltaiche garantiscono, invece, la produzione di energia elettrica. L’acqua giunge ai rubinetti e alle docce tramite una torre piezometrica, che sfrutta la gravità e funziona senza bisogno di un sistema di pompaggio.

Le finestre convogliano la brezza marina e i grandi spazi aperti assicurano la ventilazione trasversale. Il caratteristico tetto makuti protegge dal sole e permette di mantenere l'ambiente sottostante gradevolmente fresco nonostante le alte temperature esterne. La stessa funzione isolante è assolta dai muri in pietra corallina, tipici dell’architettura swahili.

Un albergo di lusso, ma con l’aspetto di una villa privata, che colpisce per la sua semplicità e adeguatezza.

caption: © Stevie Mann

caption: © URKO Sanchez Architects

caption: © Stevie Mann

Lavori in casa? Trova i professionisti su Fazland

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In copertina: The tool and materials for sanitary work, di Dmitry Bodyaev via Shuttestock.

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Un video esplicativo di come funziona Fazland.

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L’evoluzione degli arredi in legno attraverso la storia degli incastri

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Gli incastri sono quei giunti in cui due elementi si collegano tra loro in modo tale che la sporgenza dell'uno possa inserirsi nella cavità dell'altro. Ne esistono di semplici ed estremamente complessi, a seconda del legno da utilizzare e della funzione dell'oggetto che si sta realizzando. 

In copertina: Il porta riviste in multistrato di betulla.

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STORIA ED ORIGINE DEGLI INCASTRI DI LEGNO PER GLI ARREDI


L'arte degli incastri ha attraversato in Italia momenti di grande fioritura, specialmente quando si è espressa come sintesi della creatività di artisti emergenti e le capacità manuali degli abili maestri artigiani. 
In realtà all'inizio del Medioevo i mobili erano molto massicci, lontani dall'essere elaboratamente assemblati: erano costituiti per lo più da assi di legno, blocchi monolitici da collocare dove servisse. Le credenze e gli armadi erano costituiti da semplici assi, le tavole si reggevano, grazie al loro stesso peso, su trespoli. 
I falegnami come li intendiamo oggi nacquero solo dopo, quando furono inventati gli incastri, che consentivano di unire tra loro diversi pezzi a formare oggetti di mobilio più complessi e gradevoli.  
La tecnica di lavorazione del legno tramite incastri si diffuse in Italia grazie all'esperienza ereditata dai falegnami romani che avevano realizzato con il legno opere notevoli come la cattedra di Massimiano a Ravenna e, tra gli altri, un armadietto con cassetti conservato in Vaticano.

(Storia d'Italia e d'Europa. L'Europa barbara e feudale F.Burgarella, S.Chierici, R.Fontaine, M.Guidetti, G.Penco, P.P.Pggio, M.Rouche JACA BOOK)

caption: Cassettiera in multistrato di betulla.

La tecnica dell'incastro è una tradizione molto sentita anche in Giappone, dove il "sashimono", letteralmente "cose unite", sin dal periodo Edo (1603-1868) è considerato un modo efficace di assemblare elementi lignei che compongono abitazioni e mobili. Il Sashimono ha dato vita a pezzi di falegnameria non solo perfettamente solidi e funzionali, ma anche estremamente affascinanti. In un'ottica molto moderna, all'epoca dei samurai i mobili dismessi venivano smontati e riutilizzati per altri scopi. 

Quando la tecnologia non era ancora così diffusa e prima dell'avvento delle macchine a controllo numerico, quello dei falegnami era un mestiere la cui importanza era ampiamente riconosciuta. Le macchine a controllo numerico, in grado di operare autonomamente senza l'intervento umano, hanno sempre più messo da parte gli artigiani del legno

caption: Sedia, scrivania con porta computer e lampada.

Con l'avvento della tecnologia infatti, abbassandosi il costo dei manufatti, si sono diffusi sistemi di assemblaggio meccanico e chimico che hanno sostituito il laborioso e creativo lavoro manuale dei falegnami, in grado di realizzare incastri complessi come l'intarsio ed efficientissimi come la nuova linea di Eco arredi RIR.

Oggi il tagliolaser ha riportato in voga gli incastri: e la creativita Italiana, la precisione del disegno tecnico e l'affidabilità  delle macchine laser nell'effettuare tagli precisissimi, è tale che, qualsiasi sia la sagoma programmata, la macchina sia in grado di ricrearla, facendo in modo che le due parti da incastrare combacino perfettamente tra loro.

IL TECNICO DEL LEGNO

Per saperne di più su questa tecnica  abbiamo coinvolto Mariano ex falegname e fondatore del marchio RIR, una realtà artigiana che opera nel settore degli arredi in legno e particolarmente attenta alle tematiche di sostenibilità e ambiente. In merito al taglio laser per la lavorazione del legno, Il Tecnico del Legno ci spiega che è da considerarsi come un'evoluzione sostenibile del modo di arredare

anche perché con il taglio laser si evitano alcune lavorazioni classiche fatte con il pantografo o le macchine utensili tradizionali evitando cosi di usare frese e utensili che dovrebbero essere prodotti e poi affilati usando liquidi di raffreddamento e oli emulsionabili non sempre semplici da smaltire.

Ne abbiamo quindi approfittato per sapere di più sulla lavorazione del legno per gli arredi in generale.

La linea di Eco Arredi progettata e distribuita con il marchio  RIR è realizzata con pannelli di multistrato di betulla. Questo legno, proveniente da foreste auto gestite e certificato FSC in classe E1, è tra i multistrati più pregiati ed uniformi  particolarmente resistente perché gli strati del legno dei pannelli sono disposti in maniera incrociata.

Una volta pronti i pannelli, vengono tagliati con il laser, rifilati per evitare scheggiature e armonizzare le forme e assemblati.

Abbracciare la cultura del consumismo non significa necessariamente abbandonare le tradizioni costruttive storiche e per fortuna ci sono realtà italiane che ancora lo dimostrano. 

caption: Cubotti: porta oggetti in pannelli multistrato di betulla.

caption: Porta PC in legno multistrato di betulla.

Le foto ritraggono le creazioni del marchio RIR progettate e realizzate da Il Tecnico del Legno.

La trasformazione di Rieselfeld, quartiere ecosostenibile di Friburgo

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Il quartiere ecosostenibile Rieselfeld di Friburgo, in Germania, è il frutto di una sfida ecologista: coniugare la necessità dell’amministrazione comunale di nuove abitazioni con la lotta alla cementificazione da parte di associazioni naturaliste per preservare preziosi ecosistemi. Nascono così il quartiere più grande della città e la riserva naturale Freiburger Rieselfeld, 320 ettari totali di cui solo 70 edificati.

In copertina: foto da www.freiburg.de

FRIBURGO: LA RIQUALIFICAZIONE DEL QUARTIERE WEINGARTEN

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caption: foto © WMUD | Willie Miller Urban Design + Planning

Origini e storia del progetto del Rieselfeld

L’area prende il nome dai Reiselfelder ovvero gli impianti per la depurazione delle acque di scarico che hanno occupato la zona per circa un secolo, dal 1895. Adibiti al filtraggio delle acque reflue di tutta la città, gli impianti sono stati dismessi nel 1985 quando un più grande e complesso impianto di depurazione è entrato in funzione a circa 15 km da Friburgo.

L’area è resa edificabile negli anni ‘90 dopo che attente indagini sul sottosuolo avevano evidenziato circoscritti danni ambientali, risanati da un’attenta operazione di bonifica del terreno, ma anche la presenza di flora e fauna degne di protezione. In accordo con gli ambientalisti, le autorità comunali decidono di limitare l’edificazione a meno di un quarto della superficie totale, destinando la restante parte a parchi protetti.

caption: foto © Thomas Kunz

I lavori ad uno dei quartieri più sostenibili di Friburgo partono nel 1994 su progetto curato dalla stessa amministrazione comunale in collaborazione con l’impresa di servizi municipali KE LEG di Stoccarda ( “Gruppo Progetto Rieselfeld”). L’obiettivo è quello di creare un ambiente attivo, con diverse tipologie di edifici ed adatto a tutte le generazioni in cui un’adeguata larghezza delle strade e la presenza di spazi verdi ad ogni isolato fa da contraltare ad un’elevata densità edilizia, necessaria per ridurre al minimo il consumo di suolo.

caption: caption: a sinistra foto © Thomas Kunz, a destra foto © Ingo Schneider

Gli aspetti ecologici della pianificazione e la viabilità

Le linee guida dettate per la pianificazione hanno da subito evidenziato per il quartiere una politica edificatoria volta all’ecosostenibilità. L’orientamento degli edifici e le distanze minime imposte tra i fabbricati sono tali da garantire un’esposizione ottimale, evitando spiacevoli fenomeni di ombreggiamento. Le costruzioni sono tutte a basso consumo energetico, con un fabbisogno che non supera i 65 kWh/mq annui. L’impianto di riscaldamento di tutte le strutture deve essere necessariamente connesso alla centrale di teleriscaldamento di Weingarten così come obbligatorio è l’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico e pompe di calore.

Un efficiente impianto di depurazione garantisce inoltre il trattamento e recupero delle acque reflue e delle acque piovane.

La linea tramviaria, che attraversa il quartiere lungo la Rieselfeldallee (viale Rieselfeld), costituisce la spina dorsale dell’impianto a maglia ortogonale. Al centro di tale asse, in direzione nord-est, si estende il parco “Grünkeil”, un vero e proprio cuneo verde che penetra all’interno della città e in cui si sviluppano liceo, palestre, scuole elementari, centri di incontro e chiese. Lungo la Rieselfeldallee si trovano anche edifici residenziali: tipologie in linea e a blocco fino a 5 piani che, man mano che ci si sposta verso la periferia, lasciano spazio a case a schiera e abitazioni bifamiliari.

Per disincentivare l’uso delle automobili private e ridurre così le emissioni sono state adottate severe misure per la gestione del traffico, l'uso della bicicletta e dei mezzi pubblici. Lungo l’intera rete stradale vige l’obbligo di precedenza ai pedoni, ai ciclisti e al tram che collega il quartiere con il centro di Friburgo; il limite di velocità è pari a 30 km/h e alcune strade, riservate al gioco, sono totalmente chiuse al traffico; tutte le zone del quartiere inoltre, sono facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici.

friburgo-rieselfeld-d

Una fitta trama di verde scandisce l’intero territorio comunale a diverse scale: i giardini dei vari isolati sono connessi tra di loro e con ampi parchi pubblici attraverso un’infrastruttura verde fatta di viali alberati.

Fiore all’occhiello del sistema è la riserva naturale nella zona ovest di Rieselfeld che, con i suoi 250 ettari, è una delle più grandi della Germania. Un preciso programma di manutenzione ne consente un costante mantenimento mentre nel corso degli anni è stato creato un sentiero naturalistico, per cittadini e turisti, con indicazioni sulla flora la fauna presenti. Lungo tale percorso, tra piante e siepi, sono ancora visibili i resti delle dighe e delle vasche prima utilizzate per la raccolta delle acque di scarico ed ora divenute habitat per erbe selvatiche come papavero, fiordaliso e camomilla. Campi per il pascolo si alternano a foreste umide ben conservate in cui si sono sviluppate specie di uccelli come il beccaccino, il piro piro e l’airone cenerino; anche le cicogne bianche hanno trovato nella riserva zone adatte per la riproduzione.

Un progetto “partecipato”

caption: foto da www.plannersweb.com

Il “Gruppo Progetto Rieselfeld” ha sempre cercato di interagire attivamente con i cittadini promuovendo costantemente la partecipazione della comunità nella progettazione degli sazi urbani; seguendo il principio “più attività, meno amministrazione” hanno anteposto il benessere della comunità agli interessi individuali, cercando comunque di imporsi sul mercato immobiliare di Friburgo. Numerose famiglie ed anziani hanno deciso di trasferirsi a Rieselfeld e tale riscontro positivo ha permesso all’amministrazione di perseguire nuovi obiettivi di sviluppo urbano e politiche ambientali sostenibili.

caption: foto di Fotomaag, via Panoramio

Numerosi gruppi si sono costituiti per promuovere la vita sociale all’interno del quartiere, prime fra tutte l’Associazione K.I.O.S.K. e.V. che ha reso possibile nel 2003 l’inaugurazione del centro d’incontro “Glashaus” (casa di vetro) con annessa la mediateca ed il caffè letterario.

Nel loro motto, “perché la costruzione di un distretto non può essere fatta solo con le pietre!”, è racchiuso un principio fondamentale a cui tutte le città dovrebbero ispirarsi: non sono gli edifici che rendono tale una città, ma gli uomini e le donne che la abitano e i bambini che ne animano le strade, perché l’architettura senza le persone sarebbe solo un contenitore vuoto.

Accessibilità universale delle costruzioni: progettare per le disabilità

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L’architettura deve necessariamente tenere in considerazione le esigenze di utenti che non possiedono, o possiedono solo in parte, le abilità necessarie alla fruizione completa e sicura dell’organismo edilizio. Analizziamo quindi i riferimenti normativi per l'accessibilità delle costruzioni, e dei progetti che dimostrano che è possibile garantire la fruibilità delle opere ai disabili senza rinunciare al valore architettonico dell'opera. 

In copertina: rampe a Venezia.

PASSERELLE IN LEGNO PER LA FRUIBILITÀ DELLA COSTA

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Riferimenti legislativi per l'accessibilità delle costruzioni

La legislazione italiana regola l’accessibilità delle costruzioni mediante il D.M.236/89 che stabilisce in modo preciso alcuni parametri. Il decreto infatti distingue le costruzioni in tre categorie di fruibilità:

  1. Accessibilità. Con "accessibilità" si intende la possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire di spazi ed attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.
  2. Visitabilità. Con questa seconda categoria, la visitabilità, il legislatore intende la possibilità, anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare. In altre parole, la persona può accedere in maniera limitata alla struttura, ma comunque le consente ogni tipo di relazione fondamentale.
  3. Adattabilità. Per adattabilità si intende la possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito, intervenendo senza costi eccessivi, per rendere completamente e agevolmente fruibile lo stabile o una parte di esso anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale.

Esempi di buona progettazione

caption: Il “Padiglione Infanzia” progettato da Esaù Costa Perez, Milano.

Per le nuove costruzioni, oltre a queste caratteristiche normate per legge, si parla oggi sempre più di accessibilità universale. Per accessibilità universale si intende l’accessibilità di un edificio da parte di tutte gli utenti indistintamente, senza relegare la funzione di “superamento della barriera architettonica” a espedienti costruttivi o impiantistici che tendono ad “ospedalizzare” l’edificio, discriminando le diverse tipologie di utenti.

Facile da capire è che una rampa ben progettata è fruibile sia da persona con normale mobilità che da persona disabile mentre una scala corredata di montascale laterale risulta scomoda per il disabile, costosa in termini impiantistici e non soddisfacente dal punto di vista estetico.

caption: passerelle pedonali nei Mercati Traianei dello studio Nemesi, Roma.

Alcuni esempi di buona progettazione in tal senso possono essere riscontrati nel “Padiglione Infanzia”, progettato a Milano dallo studio spagnolo Esaù Costa Perez (2014) o nel sagrato della chiesa della Parrocchia della Madonna di Fatima a Torino dell’architetto Andrea Bella.

Per quanto riguarda i luoghi storici e di interesse monumentale esistono validi esempi di progettazione come le passerelle pedonali progettate ai Mercati Traianei a Roma tra il 1999 e il 2001 dallo studio Nemesi o l’organizzazione dei percorsi museali presso il duomo di Aquileia.

Non una sola disabilità

La buona progettazione e la corretta messa in opera deve inoltre tenere in considerazione tutte le disabilità, o almeno il maggior numero possibile. Comunemente infatti siamo abituati a pensare solo alla disabilità motoria di chi non può percorrere le scale e ai relativi presidi che risolvono il problema.

Le disabilità però sono molte e diverse: per esempio la disabilità uditiva o visiva, non necessariamente si parla di cecità completa, può rendere difficoltosa la fruizione di luoghi pubblici invece agevoli per il disabile motorio. Si pensi per esempio a luoghi con scarsa illuminazione, con percorsi poco segnalati o con sporgenze o dislivelli non evidenti dal punto di vista visivo.

Anche nei musei o in particolari esposizioni spesso si ricreano, per creare effetti suggestivi, locali bui o con proiezioni video o specchi talvolta disorientanti già per un utenza visivamente normodotata.

caption: Padiglione Italia a Expo 2015, Milano.

caption: ponte su un canale di Venezia.

Una progettazione che tenga conto di tutto ciò è quindi da auspicare per ogni nuova costruzione, specialmente pubblica o di fruizione collettiva. 

Progetto di recupero di un casino di caccia

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Arfanta è una frazione del comune di Tarzo in provincia di Treviso costituita da uno sparuto numero di case dominate dal campanile della chiesa parrocchiale e abbracciate dalle colline circostanti. Nel XVII secolo una nobile famiglia veneziana fa edificare in questo luogo sperduto Casa Crotta probabilmente destinata a essere un casino di caccia. Negli anni lo stabile è stato dimenticato e abbandonato, ma grazie al progetto dell’architetto Massimo Galeotti è stato possibile salvare l’edificio e trasformarlo in casa d’abitazione inserita nel circuito regionale delle ville venete.

CASERA GIANIN: IL RECUPERO DI UN CASINO PER PASTORI

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IL PROGETTO DEL RECUPERO DEL CASINO DI CACCIA

Casa Crotta è costituita da due volumi: un parallelepipedo con copertura a doppia falda costituisce il nucleo originario affacciato sulla via principale del paese, mentre sul retro è collocato un piccolo stabile aggiunto in epoche passate. Al fine di razionalizzare gli spazi dell'ex casino di caccia e renderli vivibili senza snaturare i caratteri distintivi della costruzione sono state create due unità abitative separate: una si dispone su tre livelli e occupa il corpo di fabbrica principale, l’altra è accolta nel volume più piccolo e si sviluppa su due livelli.

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Se dall’esterno nulla appare modificato, gli ambienti interni si caratterizzano per un utilizzo di pochi e riconoscibili elementi compositivi al fine di ricordare e sottolineare che questo era un semplice casino di caccia utilizzato pochi giorni all’anno e dall’aspetto spartano. I pavimenti della zona giorno sono quelli originali in cotto e i gradini delle scale principali sono in pietra, mentre per le camere da letto si è preferito utilizzare il legno non trattato. Le spesse pareti in sasso sono state lasciate a vista in alcuni punti, mentre in altri sono state intonacate di bianco. Inoltre, tutti i materiali in pietra e terracotta recuperati durante il cantiere sono stati ripuliti e riposizionati all’interno dell’abitazione.

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Autocostruzione di una scuola in Cambogia

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La scuola secondaria situata nel villaggio di Roong in Cambogia, realizzata per merito di Architetti senza Frontiere (ASF Italia Onlus), ha meritato la medaglia d’argento del Premio Internazionale Architettura Sostenibile 2015, ideato e promosso dall’azienda Fassa Bortolo insieme al Dipartimento di Architettura dall’Università di Ferrara. Il contesto in cui sorge il progetto è quello di un villaggio povero nella provincia di Takeo, a 50km a sud di Phnom Penh, la capitale della Cambogia. Si tratta di un’area che vive una forte trasformazione economica e che vede un massiccio spostamento della popolazione nei nuovi poli industriali dislocati nelle campagne. In questa zona, l’associazione onlus Missione Possibile, aveva già realizzato una scuola primaria, per cui nel 2012 affida ad Architetti Senza Frontiere la missione di progettare una scuola secondaria.

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Il team di architetti concepisce allora un progetto che si basa su principi ecosostenibili, utilizza materiali e tecniche costruttive locali e impiega manodopera non specializzata, secondo la filosofia dell’autocostruzione in architettura.

IL PROGETTO DELLA SCUOLA DI ROONG

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Il progetto prevede una prima fase (ultimata), in cui si realizzano sei aule e due uffici, e una seconda dove saranno costruiti due laboratori, alloggi e servizi per insegnanti e volontari.

Da un punto di vista tipologico, l’edificio di presenta come un unico corpo in linea di dimensioni 62,8m x 10,2m. Da un lato si sviluppano le aule e dall’altro un lungo corridoio porticato funge da spazio di distribuzione ma non solo. Infatti, essendo ampio 3m e alto 5m, il corridoio si caratterizza luogo di condivisione e socializzazione, in un’ottica di trasformazione delle classiche gerarchie spaziali dell’edilizia scolastica, secondo le indicazioni della pedagogia moderna. Inoltre, non potendo sfruttare il cortile esterno durante i giorni di pioggia o di caldo torrido, il porticato diventa il luogo per l’incontro e il gioco.

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Nuove connessioni spaziali

Gli architetti ripensano il rapporto tra aule e corridoio non solo a livello planimetrico ma anche spaziale. Le pareti delle classi vengono smaterializzate  attraverso l’introduzione di grandi pannellature fisse in bambù. Ogni pannello, di dimensioni 1,7m x 3,6m, si compone di una serie di canne di bambù, a ritmo variabile. I culmi, infatti, sono più vicini tra loro ad altezza occhi rispetto alla posizione da seduto, così da evitare distrazioni visive.

Anche il rapporto tra portico e cortile viene progettato con un’idea ben precisa. L’intento è avere un diaframma permeabile con andamento variabile, che consenta una percezione visiva maggiore nella zona prospiciente le aree comuni, ovvero due piazze aperte che interrompono la successione delle aule. Si tratta di una sequenza di setti murari con un passo strutturale costante pari a 2,3m.

Il portico con le sue aperture e il diaframma di bambù sono anche gli elementi che maggiormente caratterizzano l’estetica dell’intero organismo.

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I materiali e le tecniche

I materiali scelti sono per il 75% locali, mentre l’uso di cemento e ferro è relegato solo alle fondazioni. Terra cruda e bambù sono utilizzati secondo tecnologie costruttive industrializzate, al fine di poter adoperare manodopera non specializzata e ottenere una maggiore economicità di tempo e di risorse.

I mattoni sono, infatti, facilmente replicabili; attraverso una cassaforma in ferro è possibile realizzarne 16 di dimensioni 30x15x10 cm, con un solo getto. I blocchi sono allettati con malta cementizia e irrigiditi  da ferri di 8 mm connessi alle fondazioni. Queste ultime presentano una maglia di strisce di bambù al posto della rete elettrosaldata, annegata all’interno del massetto e appoggiata su un foglio di poliuretano che la separa dal suolo.

La copertura è costituita da una struttura portante con travi di bambù, lunghe circa 11 metri, su cui poggia una lastra ondulata in fibrocemento spessa 12 mm. All’interno, il tetto presenta un rivestimento di foglie di palma intrecciate. Le 28 travi poggiano su tre punti con luce variabile (6,6m per le aule e 3,3m per il corridoio). Ogni trave è formata da tre culmi di bambù, connessi tra loro con barre filettate. Le travi si collegano con quelle di bordo tramite un sistema di selle in ferro.

Per quanto riguarda gli intonaci, all’interno si sceglie un intonaco di calce, mentre per l’esterno si opta per un intonaco addizionato con cemento e pigmenti colorati per aumentare la capacità di resistenza all’effetto della pioggia battente.

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Ventilazione e comfort termico

La ventilazione naturale verticale è favorita dall’altezza di colmo di 5m, che permette la fuoriuscita dell’aria calda; mentre la ventilazione orizzontale è garantita dai diaframmi permeabili in bambù. Il corridoio/portico rappresenta una zona di filtro microclimatico; i setti del portico, infatti, proteggono le aule dal sole e dalla pioggia, anche se potrebbero crearsi dei piccoli problemi in caso di piogge di stravento.

Per quanto riguarda il comfort termico, il tetto presenta un’unica grande falda orientata a nord per diminuire l’angolo di incidenza dei raggi del sole.

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La realizzazione della scuola è costata circa 64.000 euro, compresi servizi igienici e pozzo. Alla costruzione hanno partecipato a turno diverse squadre di operai non specializzati, che hanno sfruttato il cantiere come una possibilità per apprendere l’uso dei materiali locali e sperimentare nuove tecniche costruttive.

Consegnare una scuola è un regalo per tutta la comunità, ma insegnare a costruirla è un dono anche per le comunità future.

Questo è uno dei tanti aspetti della pratica dell’autocostruzione.


AAA svendesi abitazione pneumatica griffata NASA

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Con un budget per ricerca e sviluppo multimilionario (per la precisione, 18,5 miliardi nel 2015), la NASA è probabilmente il più grande generatore di tecnologia al mondo. La crisi mondiale arriva però fino ai più potenti ed ora l’Ente aerospaziale americano deve “fare cassa”.  Come in ogni sistema, anche i brevetti sono soggetti alle leggi della selezione darwiniana: ci sono i brevetti di serie A, quelli che fanno gola alle grosse multinazionali, assicurando alla NASA il finanziamento dei progetti di lunga portata, ed una miriade di brevetti di serie B, potenzialmente interessanti per la società civile ma rimasti orfani di capitali che ne consentano il loro ingresso nel mercato. Con lo scopo di non lasciare che il know how acquisito diventi lettera morta, la NASA ha dunque varato un’iniziativa di trasferimento tecnologico nel più puro stile marketinaro americano, con lo slogan:Technology Transfer Program. Bringing NASA technology down to Earth” (Programma di trasferimento tecnologico. Riportando alla Terra la tecnologia della NASA).

In copertina: The American Dream... la casa a forma di ciambella!

BREVETTI ITALIANI: I VETRI IDROREPELLENTI ISPIRATI AI FIORI DI LOTO

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Tecnologie e brevetti NASA

Le regole del gioco delle “svendite tecnologiche” sono semplici: tutto l’anno è stagione dei saldi e non c’è necessità di fare la fila. Basta andare nel sito della NASA, dove le aziende interessate possono passare in rivista le diverse tecnologie, coperte da brevetto, che l'ente aerospaziale offre in licenza gratuita per i tre primi anni.

Le condizioni per beneficiare di tale agevolazione sono le seguenti:

  1. essere una startup costituita appositamente per commercializzare la tecnologia di cui si richiede la licenza;
  2. la NASA rinuncia ad ogni diritto iniziale e non richiede una royalty minima durante i primi tre anni;
  3. la proprietà dei brevetti, e dunque anche le spese di mantenimento brevettuale e di difesa in caso di violazione dei diritti da parte di terzi, rimangono a carico del Governo statunitense;
  4. le licenze non sono esclusive, quindi più aziende possono acquisire la stessa tecnologia, a meno che il primo richiedente non negozi l’esclusività in cambio di una royalty addizionale;
  5. il personale ed i laboratori della NASA sono a disposizione delle startup per ulteriori perfezionamenti;
  6. con la prima vendita, la NASA inizia ad incassare una royalty, che viene utilizzata per il mantenimento della struttura;
  7. le aziende beneficiarie sono soggette a delle limitazioni delle politiche federali (leggasi: la tecnologia non può essere venduta alle potenze anti-americane e loro alleate) e all’obbligo di presentare dei rapporti periodici sui progressi fatti dalla startup beneficiaria per l’ingresso nell mercato della tecnologia acquisita.

Una volta scelto il brevetto d’interesse, a questa pagina è possibile scaricare i moduli di domanda.

L'abitazione pneumatica

Abbiamo trovato per i nostri lettori un'intrigante tecnologia di abitazione pneumatica chiamata Concentric Nested Toroidal Inflatable Habitat (Habitat Pneumatico a Toroidi Concentrici). L’invenzione è coperta dal brevetto USA No. 8.070.105.caption: sezione della casa-ciambella

Sorge spontaneo domandarsi: come mai una tale banalità ha ottenuto un brevetto? Le strutture pneumatiche sono note da almeno mezzo secolo. Le forme basilari realizzabili con un sistema sottoposto a pressione sono una diretta conseguenza del principio di Pascal: sfera, cono, e toroide. Ogni altra forma sarà sempre una combinazione delle suddette, o nel migliore dei casi una combinazione di calotte sferiche o cilindriche, come nel caso dei paraglider.

Quindi il fatto di unire più toroidi concentricamente non ha niente di innovativo. Inoltre risulta abbastanza dubbiosa l’affermazione della NASA che una struttura del genere possa essere utilizzabile nella Terra come abitazione in zone remote o inospitali, semmai andrebbe bene per girare un film di fantascienza in uno studio. Come andrebbero regolate la temperatura e la ventilazione, se non a scapito di un consumo energetico sproporzionato? Come farebbero a scorrere l’acqua piovana, o la sabbia o la neve, che si accumulerebbero nelle giunzioni fra i tori concentrici? Come fornire la pressione sufficiente per controbilanciare tale carico? Come evitare la lacerazione delle membrane, causata dalle tensioni concentrate agli ancoraggi in caso di forte vento?

Mai come in questo caso è risultato vero il vecchio proverbio “Non è oro tutto ciò che luccica”. Nell’opinione dell’Autore, almeno per quanto riguarda i brevetti che lo stesso è in grado di valutare, come quello oggetto del presente articolo e altri simili esposti nel sito in questione, l'“agevolazione” della NASA per le startup non è tale. Anzi, sembra piuttosto un pericoloso miraggio che porterebbe i giovani imprenditori nel vicolo cieco dello sviluppo di prodotti fine a sé stessi, carenti di mercato. Non a caso si tratta di una svendita di brevetti di “seconda scelta” e si sa che la qualità del low cost non è sempre la migliore.

LED e stampa 3D per l'illuminazione di interni

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Dalla lampadina ad incandescenza ai diodi ad emissione di luce, comunemente conosciuti come LED, l’innovazione tecnologica nel campo dell’illuminazione ha fatto passi da gigante. La lampadina ad incandescenza, inventata da Edison nel 1878, sebbene abbia dominato il settore dell’illuminazione per oltre un secolo, da qualche anno non è più sul mercato (fatta eccezione per quelle destinate ad usi specifici, tipo gli elettrodomestici). Il motivo della dismissione di queste lampadine così tanto diffuse in passato eppure così poco efficienti, è da ricercare nelle necessità di risparmio energetico e in un costante sviluppo della ricerca tecnologica in direzione “green”. Le lampadine ad incandescenza infatti, hanno un rendimento bassissimo. Sono state quindi soppiantate da lampade fluorescente e, ovviamente, dai LED.

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I VANTAGGI DEI LED PER L’ILLUMINAZIONE DI INTERNI

Inventati nel 1962, non sono più giovanissimi, eppure I LED, “Light Emitting Diods” (letteralmente diodi che emettono luce), evolutisi molto nel tempo, sono praticamente imbattibili in termini di efficienza: a parità di luce emessa consentono di risparmiare fino al 90% di elettricità rispetto alle tradizionali lampadine.

Visti questi significativi vantaggi in termini energetici, non è difficile immaginare come mai le lampade LED, i cui prezzi sono ormai quasi allineati a quelli delle lampade fluorescenti, si stiano diffondendo così tanto sul mercato, nell’illuminazione di interni come nel settore commerciale, negli uffici così come nelle industrie.

Oltre al fatto che consentono un significativo risparmio energetico, le lampde a LED sono consigliabili per l’illuminazione di interni anche per altri motivi.

  • la durata: le lampade a LED sono in grado di durare fino a circa 50 mila ore, che corrispondono a 6 anni in cui la lampada è rimasta accesa 24 ore su 24. In realtà le lampade LED, dopo circa 50 mila ore di funzionamento non smettono di funzionare, solo iniziano ad emettere meno luce rispetto a quella iniziale. Qualora ciò non crei fastidi, le lampade possono essere utilizzate anche per il doppio del tempo, fino a 100 mila ore, altrimenti sostituite. Inoltre, il funzionamento delle lampade a LED non dipende dal numero di accensioni e spegnimenti, il che le rende ideali per l’ambiente domestico, in cui raramente le lampade restano accese per intere giornate senza essere mai spente (come avviene in uffici, industrie…).
  • la produzione di calore: sebbene questo aspetto faccia pensare solo all’efficienza della lampada (se non produce calore sfrutta più efficientemente l’energia ricevuta), quello della mancata produzione di calore delle lampade a LED è un aspetto importantissimo nell’illuminazione di interni perché consente di collocarle a contatto con materiali come legno, plastica ed altre superfici che potrebbero andare danneggiate con il calore.
  • la regolazione della luminosità: le lampade a LED possono essere accoppiate a dimmer, i regolatori di luminosità e quindi essere utilizzate in ambienti in cui non sempre è desiderato lo stesso livello di luminosità. La regolabilità dell’intensità di luce rende le lampade LED compatibili anche con i sistemi domotici, con cui si possono impostare delle “scene di luce”, ottenibili anche con i LED.
  • creatività e design: i LED possono essere realizzati in qualsiasi colore, incluso il bianco, consentendo la creazione di atmosfere personalizzate. La luce dei LED è ben direzionabile, il che consente di far risaltare una specifica zona, dare rilievo ad un quadro o illuminare la poltrona su cui ci si siede a leggere, senza causare alcuno sfarfallio di luce.

LAMPADE LED, STAMPA 3D E BIOPLASTICA

Questa serie di vantaggi nell’utilizzo dei LED ha convinto i designer a sbizzarrirsi con creazioni utili ed originali.

LEDbyLED, un brand italiano che progetta e realizza artigianalmente lampade di design, per la produzione delle sue lampade ha unito la convenienza dei LED alla stampa 3D effettuata utilizzando un materiale sostenibile ed un processo produttivo completamente rispettoso dell’ambiente.

La stampa 3D per la produzione di lampade

LEDbyLED propone un nuovo modo di produrre artigianalmente: stampando le sue lampade con la tecnologia della stampa 3D, l’azienda propone una grande innovazione e lancia una sfida tecnologica in un mercato ancora principalmente orientato alla sola prototipazione.

La stampa 3D computerizzata sta trasformando il modo di fare produzione rendendolo tra l’altro più creativo e allo stesso tempo più rapido. I costi di produzione non eccessivi potrebbero aiutare l’industria manufatturiera a sollevarsi dalla crisi. Programmando la macchina per la stampa 3D infatti, si può produrre una varietà infinita di oggetti. Oltre che accessori per la casa la tecnologia è attualmente sfruttata molto anche nel settore meccanico: diverse case automobilistiche se ne servono per la produzione di componenti, giovando del fatto che anche la prototipazione, oltre che la produzione stessa, è molto più rapida di prima e consente di sperimentare diverse alternative prima di giungere al prodotto finale da mandare in produzione. Alla stampa 3D hanno deciso di affidarsi anche nella Stazione Spaziale Internazionale, dove la produzione di componenti avverrà direttamente a bordo consentendo autonomia e risparmio economico.

Allontanandosi dai tradizionali sistemi di produzione, l’azienda non solo abbandona i canoni standard di produzione e crea splendidi oggetti in maniera innovativa, ma lo fa anche nel totale rispetto dell’ambiente.

Il PLA per la stampa 3D

Le lampade di LEDbyLED sono prodotte dalla stampa 3D utilizzando un filamento di PLA. Il PLA è un acido polilattico, una molecola ottenuta dalla fermentazione, separazione e polimerizzazione dell’amido di mais. Si ottiene quindi una speciale bioplastica, naturale, facilmente smaltibile e con un’ottima trasparenza, che perfettamente si adatta all’utilizzo come involucro per le lampade della collezione LEDbyLED. 

caption: Silva

caption: Gea

caption: Gemina

caption: Pyra

Nella produzione delle sue lampade, LEDbyLED non impatta sull’ambiente: l’anidride carbonica immessa durante il processo produttivo è bilanciata dall’assorbimento della CO2 che la pianta del mais, durante la crescita, assorbe con la fotosintesi clorofilliana. L’intero ciclo di vita di queste lampade può definirsi sostenibile: oltre alla produzione che compensa le emissioni e l’utilizzo, durante il quale i LED consumano pochissima energia, queste lampade sono facilmente smaltibili. Il PLA infatti è totalmente biodegradabile e compostabile.

Pulizia dei pavimenti in pietra naturale

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Le pietre naturali, seppure molto resistenti agli agenti atmosferici, possono risultare attaccabili dallo sporco. Si tratta di una caratteristica che varia in funzione della porosità della pietra (pietre più porose si sporcano con più facilità mentre quelle meno porose sono più sensibili allo sporco), e a cui si fa fronte detergendo la superficie con regolarità.

L’operazione di pulizia dei pavimenti e delle superfici in pietra non è affatto complessa ma va eseguita con cura per evitare di danneggiare il materiale. Detergenti troppo aggressivi o poco adatti rischiano di rendere il pavimento opaco.

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I NEMICI DEI PAVIMENTI IN PIETRA NATURALE

I prodotti acidi sono sicuramente i peggiori nemici delle superfici di pietra naturale: rischiano di corroderla, rovinandola. Tra i prodotti acidi da evitare sono inclusi l’alcool, il limone e l’aceto, spesso utilizzati per le pulizie domestiche ed erroneamente impiegati per smacchiare le superfici in pietra: il loro PH acido ne mina la brillantezza e ne danneggia la lucidatura.

L’acido fluoridrico è un’altra sostanza da evitare: non è adatto per molti tipi di pietre poiché è capace di sciogliere il quarzo che compone i silicati (contenuto in alcune pietre). La capacità dell’acido fluoridrico di sciogliere il quarzo è tale che viene utilizzato in oreficeria per evidenziare l’oro nascosto in formazioni di quarzo.

I prodotti anti-calcare sono altri nemici delle pietre. Il motivo è semplice ed è da riscontrare nalla composizione di marmi, travertini, ardesie, onici, quasi interamente costituiti da calcare. L’utilizzo dei prodotti anti-calcare su questo tipo di pietre causerebbe la formazione di cavità dovute allo scioglimento della calcite in esse contenuta.

LE CARATTERISTICHE DEI DETERGENTI PER LE PIETRE NATURALI

Chiarite quali sono le sostanze bandite, con l’aiuto degli esperti di EuroPietre, abbiamo analizzato le caratteristiche dei prodotti più idonei per la pulizia dei pavimenti in pietra naturale.

Detergenti neutri: sono i migliori da utilizzare perché non macchiano la pietra e riescono a pulirla ugualmente in profondità. Per detergenti neutri si intendono quelli con PH 7.

Prodotti a base alcalina, come ammoniaca e candeggina: seppure solo in casi estremi, di macchie particolarmente persistenti, è possibile utilizzare ammoniaca e candeggina, che sono basiche, per smacchiare marmi e le rocce calcaree. Meglio applicarle diluite in abbondante acqua e a spruzzo o pennello sulla superficie da pulire.

Avvertenze particolari:

  • Il test del prodotto: nonostante si sia sicuri di aver selezionato il prodotto per la pulizia più idoneo, è sempre importante, prima dell’utilizzo sull’intero pavimento, su una piccola superficie per accertarsi che non la danneggi.
  • Il risciacquo: dopo aver utilizzato qualsiasi tipo di prodotto su una superficie in pietra naturale, è importante pulirla con abbondante acqua.
  • La manutenzione: è sicuramente la difesa più efficace contro il deterioramento delle pietre. Quella di detergere quotidianamente con acqua (a pressione per gli esterni) i pavimenti, è l’operazione che più ne preserva la bellezza e resistenza.
  • La protezione: cere, prodotti antigraffi e resine ecologiche applicate con le dovute accortezze sono in grado di preservare il pavimento in pietra dallo sporco e dall’usura del tempo.

N.B.: Si tratta di indicazioni valida ma da affiancare sempre dal consiglio del fornitore. 

Empire State Building: un grattacielo storico riprogettato in legno

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I primi grattacieli, le cosiddette Meraviglie del Mondo Moderno, emersero tra New York e Chicago alla fine del XIX secolo. Completato nel 1931, in soli 410 giorni, l’Empire State Building, è stato per 40 anni l’edificio più alto del mondo. Con il suo stile Art Decò, la struttura in acciaio e il suo rivestimento in pietra calcarea viene inserito di diritto tra le Sette Meraviglie del Mondo Moderno.

Ma questo simbolo incontrastato di Manhattan e dell’era industriale, potrebbe essere ri-costruito in legno?

GRATTACIELI IN LEGNO: IL PROGETTO WOODSCRAPER

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Se l'è chiesto Michael Green, visionario architetto canadese che, in collaborazione con un’azienda finlandese produttrice di legno per le costruzioni, ha riprogettato un Empire State Building le cui componenti strutturali sono tutte interamente in legno.

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Obiettivo dell’architetto è cercare di cambiare idee e i pregiudizi relativi alle costruzioni in legno. Negli ultimi anni, nel mondo sono stati costruiti diversi edifici in legno con altezza superiore a 30 metri; questi record però, saranno presto superati da nuovi progetti che raggiungeranno altezze di 75 metri (Barents House di Reinulf Ramstad Arkitekter). 

A Vancouver, dove ha sede l’ufficio dell’Architetto Michael Green, e in California (nelle foreste di sequoie secolari), gli alberi crescono per altezze notevoli, arrivando talvolta anche a 33/40 piani. La crescita di un albero è legata solamente alla capacità dello stesso di recuperare le sostanze nutritive presenti nel terreno e di spingerle nelle fibre più alte.

caption: Reinulf Ramstad Arkitekter

Green è un forte sostenitore del legno e delle strutture che da questo possono essere generate e pensa che questo materiale, l’unico a carbonio neutro che ci permette di costruire con una certa semplicità e sicurezza, che cresce solo con l’effetto del sole, diventerà la soluzione più pratica e ambientalmente compatibile che favorirà una rapida e sostenibile urbanizzazione globale. La sfida per Green è stata proporre qualcosa che andasse oltre a tutti i progetti proposti fino ad oggi; una struttura in legno alta 5 volte la più alta struttura di legno costruita finora

Mentre le costruzioni in legno di oggi raramente superano certi canoni, soprattutto per via delle norme tecniche costruttive che oramai risultano obsolete, la versione rivisitata dell’Empire State Building si avvale di pratiche ingegneristiche innovative per rispecchiare la dimensione e la forma del suo precedente.

Costruito nel 1931, l'originale Empire State Building ha rappresentato una svolta fondamentale per le costruzioni in acciaio, il modo di progettarle e di pensarle. Riproporre la “torre” in un modo così radicale significa dimostrare che il legno ha tutto il potenziale per diventare l'acciaio del XXI secolo.

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Le dimensioni complessive dell’edificio, la distanza interpiano e l’interasse tra i pilastri risultano le stesse del progetto originale. I pilastri sono strutturalmente monolitici per 6 piani e sono collegati da travi scatolari che irrigidiscono la struttura sul lato corto dell’edificio. All’interno di questi scatolari sono alloggiati diversi cavi che hanno anch’essi il compito di legare la struttura verticale.

Nonostante l’imponenza della struttura, il trasporto dei materiali per la costruzione di un edificio del genere costerebbe meno rispetto a quello di altri materiali e metodi. La scelta di un sistema di elementi in legno prefabbricati è meno costosa e più efficiente.

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A differenza degli altri materiali strutturali, il legno non deve essere coperto e può rimanere a vista come finitura degli interni, offrendo un bellissimo ambiente caldo e confortevole; in caso di incendio (carbonizzazione a circa 0.7 mm al minuto) la superficie carbonizzata protegge il prodotto e lo isola.

Il legno, con il suo utilizzo, risulta essere ad oggi, l’unico materiale che, derivato da una raccolta controllata e responsabile - evitando il depauperamento del patrimonio arbustivo terrestre - riduce le emissioni di gas serra senza produrre componenti nocivi per l’uomo e per l’ambiente. Possiamo dire che il legno è un materiale strutturale che si allinea perfettamente con i caratteri dell’innovazione contemporanea, e ci aiuta ad affrontare sfide quotidiane che altrimenti verrebbero in gran parte valicate tramite metodi costruttivi svantaggiosi per l’ambiente.

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Un vecchio fienile ristrutturato diventa la casa di una coppia di architetti

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A Hobart, in Tasmania, due giovani progettisti hanno compiuto il loro piccolo miracolo, trasformando un vecchio fienile in un'accogliente dimora. Alex Nielsen e Liz Walsh, dopo gli studi presso l'Università della Tasmania in Progettazione Ambientale e Architettura e aver viaggiato in Europa e Marocco per formarsi come architetti, hanno deciso di iniziare in questa impresa. Sono rientrati in patria e, assunti presso famosi studi di architettura a Hobart (Liz è a Cumulus Studio, Alex al Circa Morris Nunn Architects ) hanno coltivato il loro personale sogno: ristrutturare un vecchio edificio e tramutarlo nella loro casa.

LA RISTRUTTURAZIONE DI UN FIENILE IN PIETRA E ACCIAIO

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Liz e Alex hanno acquistato il fienile già l’anno dopo la laurea. La sfida era rendere funzionale alla vita di una giovane coppia un edificio vernacolare di 9x5 metri, nato grazie all’utilizzo di materiali locali e tecniche che sono state tramandate di generazione in generazione.

L’esperienza vissuta all’estero ha permesso ai due architetti di apprezzare lo stile di vita di città come Copenhagen e Cracovia, che hanno puntato sulla valorizzazione delle case in città e della mobilità pedonale. Tornando a Horbart, sulla strada che percorrevano ogni mattina, si sono accorti della presenza dell'edificio e hanno cominciato a fantasticare su come sarebbe potuto essere dopo il loro intervento. 

Dopo numerosi schizzi e tanti pensieri, hanno fatto un’offerta, riuscendo a ottenere il piccolo fabbricato nel 2012 e ad iniziare i lavori di riqualificazione all’inizio del 2013.

A dispetto delle loro previsioni, il fienile in arenaria era in buone condizioni strutturali, pur essendo risalente al 1829. La destinazione era sempre rimasta ricovero animali, cristallizzata negli oggetti e negli spazi per anni. Nei 62mq a disposizione, sono stati sapientemente riutilizzati la mangiatoia dei cavalli, lasciata in una posizione baricentrica, dove era posizionata in origine, e trasformata in lavatoio per il bagno, ovviamente dotato di tutti i collegamenti idraulici. Internamente il tetto è stato conservato, mantenendo la suddivisione ritmica dei travetti, mentre all’esterno è stato predisposto un manto dichiaratamente a contrasto. La porta dell’ingresso principale è originale, mentre le finestre sono state sostituite con infissi ad unica anta.

Il vero fascino dell’edificio sta in questi dettagli, nella ruvida percezione del suo passato valorizzato dagli inserti progettati da Liz e Alex.

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Dal punto di vista finanziario, il prestito concesso dalla banca consentiva solo la realizzazione dei lavori a piano terra, mentre non dava garanzie per il completamento del soppalco, il granaio, con un tetto spiovente a 45°. Per questo, dopo aver ultimato i primi lavori, la coppia si è trasferita nel fienile, a fine 2013, procedendo un po’ più a rilento con il piano superiore a soppalco, in cui erano previsti la camera da letto e studio.

Il progetto, ora completamente realizzato, nasce dalla passione di due giovani talenti (sotto i 30 anni) che hanno creduto nel loro sogno e, non senza difficoltà, hanno messo a frutto le loro capacità, costruendo un nido per il loro futuro. La loro casa.

Il progetto è stato nominato per il premio dell’Australian Institute of Architects, nella categoria “patrimonio e piccoli progetti”.

Il progetto e la loro storia ti piace? Coraggio e fiducia nel futuro! 

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